Non capita spesso di vedere un film italiano tratto da un romanzo straniero: adattare una storia ambientata dall’altra parte del mondo alla realtà italiana ha i suoi rischi e i suoi pericoli, è una sfida con la quale non tutti si cimenterebbero, ma che il regista Luca Lucini ha raccolto senza paura, riuscendo nel complesso a uscirne a testa alta. “Solo un padre” è infatti tratto da un romanzo dell’australiano Nick Earls, “Perfec
t Skin” (in Italia pubblicato con il titolo “Avventure semiserie di un ragazzo padre”), una storia che ha dato a Lucini l’opportunità di imprimere una svolta alla sua evoluzione artistica, dopo aver girato solo film generazionali( “Tre metri sopra il cielo”) e commedie (“L’uomo perfetto” e il recente “Amore, bugie e calcetto”). Con “Solo un padre” il regista si è messo finalmente alla prova con un film più maturo, dove l’equilibrio tra la commedia e il dramma è sottile e ben bilanciato.
Carlo (Luca Argentero), giovane e indipendente, è un ragazzo pa
dre: la sua vita ruota attorno al lavoro e alla piccola Sofia, sua figlia, la bambina che si è ritrovato improvvisamente a dover crescere da solo. Nonostante l’affetto dei genitori e una cerchia di amici affidabili e adorabili, Carlo lotta tutti i giorni con le difficoltà di un ruolo che non si aspettava di dover affrontare da solo e per il quale continua a ripetersi di non essere ancora pronto, nonostante le attenzioni per la sua bambina sembrino dimostrare il contrario. L’incontro con una ragazza francese,
Camille (Diane Fleri), sembra la ventata di freschezza e soprattutto di normalità di cui Carlo aveva assolutamente bisogno, ma dietro ad ogni sorriso sembra esserci un’ombra, e dietro ad ogni ombra sembra esserci un sorriso.
Una prima parte sicuramente riuscita e funzionale, dove i registri comici e i toni drammatici si mescolano senza risultare mai invadenti, fino a sfociare in un finale dove la chiave drammatica si ritrova a dominare gli event
i, dando alla pellicola un tocco di banalità che sembrava decisamente non appartenergli. Il risultato finale si può dire comunque positivo, merito anche del sorprendente Luca Argentero, piuttosto a suo agio in un personaggio complesso, e della bellissima Diane Fleri, francese di nascita e romana d’adozione, che ha regalato al film grazia, freschezza e la solarità di cui aveva bisogno. La quotidianità di un padre solo che non è “solo” un padre, le note dei REM (“Everybody Hurts”) e il dolce accento francese di Diane Fleri. Di che altro avete bisogno?
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