Julie & Julia, Festival Internazionale del Cinema di Roma



di Nora Ephron


“Sesso, amore e cibo”. Queste sono le tre cose cui non si deve mai e poi mai rinunciare nella vita. Ce lo dice Meryl Streep, l’indiscussa protagonista di questa quarta edizione del Festival Internazionale del Film di Roma, e ce lo dice Nora Ephron con il suo film “Julie & Julia”, presentato tra le Anteprime Fuori Concorso.
Le storie di due donne, provvidenzialmente con lo stesso nome, si intrecciano su piani temporali differenti a raccontarci il loro bisogno di sentirsi realizzate e la loro ricerca della felicità.
Mentre Julia Child comincia la sua avventura nel secondo dopoguerra a Parigi, dove si è trasferita per seguire il marito Paul, impiegato dei servizi segreti americani, Julie Powell lavora in un’organizzazione costituitasi dopo l’11 Settembre per aiutare le persone colpite dall’attacco terroristico. Entrambe trovano nel cibo uno stimolo e una ragione per cambiare le proprie vite.
Infatti se Julia è la prima donna che riesce ad entrare nell’esclusiva scuola di cucina del “Cordon Bleu” e che rende accessibile agli americani l’arte della cucina francese con il celebre libro “Mastering the Art of French Cooking” (in collaborazione con Simone Beck e Louisette Bertholle) e poi con il programma televisivo “The French Chef”, Julie decide di iniziare a scrivere un blog su internet per testimoniare l’originale sfida che fa con se stessa: preparare alla perfezione le 524 ricette del libro di Julia Child in 365 giorni.
A supportare le due donne nelle loro imprese ci sono i loro due mariti, Paul Child ed Eric Powell, che con pazienza e tanto tanto amore, imparano ad accettare e a rispettare l’”ossessione” per il cibo delle compagne, facendo anche da assaggiatori ufficiali, e il loro desiderio di sentirsi coinvolte in qualcosa.
E’ impossibile non riconoscere, nella sua interpretazione della Child, la bravura della Streep, che prende possesso del personaggio con una sicurezza impressionante senza però finire nell’imitazione e nella caricatura. Ne dà invece una visione personale e divertente che comunque non adombra né la giovane Amy Adams, né l’eccellente marito cinematografico Stanley Tucci.
Una commedia dagli ingredienti freschi e dosati al milligrammo, che riesce a far ridere e a commuovere e soprattutto a ricordare che la vita è fatta anche di piccole gioie e dolci piaceri.

Graziana Mirabile

Bancs Publics, Festival Internazionale del Cinema di Roma



di Bruno Podalydès

Bruno Podalydès si presenta in sala, alla prima del suo film, con aria allegra, spensierata, anticipato da un’eccitato Mario Sesti (curatore della sezione Extra, che si riconferma anche quest’anno come la più interessante del Festival), visibilmente fiero di aver portato a Roma un film che è un concentrato del cinema francese più puro.
L’esilarante prologo nel quale Podalydès racconta una sua sfortunata ma divertente vicenda a Cannes fa pensare “se il buongiorno si vede dal mattino”. E il mattino fu.
Bancs publics è il film più bello visto finora al Festival; ironico, emozionante, delicato, non annoia nelle sue due ore piene e considerando una mole di attori (circa 86, tra i quali Chiara Mastroianni e Catherine Deneuve) degna di Ben Hur che si intrecciano in un groviglio di storie di vita quotidiana.
Dramma di partenza: al quarto piano di un palazzo di Versailles qualcuno ha appeso un inquietante striscione con scritta a bianca a fondo nero, “Uomo solo”.
Da qui, il film procede dividendosi in tre tempi, il primo dei quali si svolge nel palazzo di fronte, in un ufficio dove Lucie (Florence Muller) e le sue colleghe “fannullone” (come direbbe qualcuno in Italia) se ne accorgono e danno il via a una serie di ipotesi su chi possa essere, cosa voglia dire e perché.
L’indagine coinvolge tutti in poco tempo, dal basso fino al vertice dell’azienda in un susseguirsi di eventi.
In pausa pranzo, l’attenzione si sposta in un parco nella piazza vicina; qui l’atmosfera è più delicata, poetica e personaggi nuovi si inseriscono affiancandosi agli altri.
Tra giochi di bambini, tristi ricordi, amori delusi e sguardi incantati (meravigliosa la parte dei due adolescenti che si fissano per tutto il tempo senza dirsi una parola), il parco si anima di segreti, illusioni, e speranze sotto lo sguardo di un giovane barbone che fa quasi da padrone di casa.
Infine, si scatena il teatro dell’assurdo; l’incrocio di situazioni strane e comiche ha, infatti, il suo apice nel negozio di ferramenta all’angolo (lo stesso Podalydes ne è il proprietario nel film), dove impiegati improbabili e clienti di ogni genere creano momenti di una ilarità coinvolgente, fino al culmine esplosivo che ci accompagna al finale.
Bancs publics, terzo episodio della Railway station trilogy di Podalydès, può essere considerato una delle perle di questa quarta edizione, dondolandoci fino alla fine in una giostra di eventi e personaggi, come nei titoli di coda che girano in cerchio sulla panoramica dall’alto del parco dove si custodiscono segreti ed emozioni.

Patrizio Caruso

Oggi Sposi, Festival Internazionale del Cinema di Roma



di Luca Lucini


Il nuovo film di Lucini, presentato Fuori concorso al Festival internazionale del cinema, il pubblico l’ha già conquistato.
La proiezione è stata preceduta, intramezzata e conclusa da forti applausi di gradimento e risate convinte; anche se non si è amanti della “moderna” commedia all’italiana (il pensiero di un accostamento a quella autentica può far rabbrividire, ma tant’è!), fa comunque piacere pensare che ogni tanto non siano solo i cinepanettoni e affini targati Boldi-De sica a “divertire” con battute squallide, spesso di argomento sessuale.
Che non ci si faccia spaventare dal fatto che gli sceneggiatori, in realtà, sono gli stessi di quei film di Natale dei quali qui c’è fortunatamente solo un velato richiamo; non è un film a sketch, non è un film che mette in piazza i comici del momento che sciorinano le loro battute di fama televisiva e richiamano in sala il pubblico più affezionato.
“Oggi sposi” ha un cast d’eccezione, particolarmente eterogeneo, si passa da Dario Bandiera (buon duo con la Ragonese) a Michele Placido (a tratti eccezionale), affiancato da Lunetta Savino e Francesco Pannofino, nei panni di una famiglia pugliese delle più rustiche.
I personaggi seguono un percorso che li porta a ricongiungersi inesorabilmente nel corso del film: quattro coppie totalmente differenti una dall’altra, lontane per molti versi, ma legate da un filo comune, il giorno del matrimonio.
E’ quindi un countdown che alterna situazioni comiche a momenti senza i quali probabilmente lo spettatore sarebbe comunque sopravvissuto (vedi la festa di gemellaggio dopo il matrimonio tra Argentero e Atias con uno “spettacolare”, nel senso negativo del termine, miscuglio di balli indiani e taranta).
Note a parte meritano Filippo Nigro, uno che non ha niente da invidiare ad altri giovani attori più blasonati (per una sua battuta è partito l’applauso più lungo durante il film), e Francesco Montanari, che fortunatamente non ha pagato il parallelo impegno nella serie di Romanzo criminale a causa della quale poteva sembrare fuori ruolo (in fondo il personaggio traffichino e poco di buono, seppur lontano dal suo Libano, lo ritrova anche qui).
I due sono rispettivamente affiancati da Carolina Crescentini, che troviamo promessa sposa di un Pozzetto sempre in forma, e da Gabriella Pession, isterica showgirl passata di moda (ricorda troppo, volontariamente o meno, Eleonora Giorgi).
Insomma, non ha certo la genialità dello humor inglese o la delicatezza della commedia francese, ma con “Oggi sposi” anche in Italia si ride bene, pur se non a livello di un festival.

Patrizio Caruso

Up in the air, Festival Internazionale del Cinema di Roma



di Jason Reitman


Reitman scrive un soggetto, parte per Como e lo porta a Clooney. Clooney lo legge, e lo accetta.
Se il binomio regista-attore protagonista è parte fondamentale per la riuscita di un film, la pellicola presentata dai due a Roma avrà senza dubbio pieni consensi tra il pubblico (e se pensiamo che alla terza replica festivaliera gli organizzatori sono stati costretti a spostare “Tra le nuvole” nella sala più grande dell’auditorium, a discapito della premiere del mediocre “Lang zai ji”, è segno che il successo sarà garantito).
Ryan Bingham è un uomo sempre in volo, affascinante, carismatico, dalla fede incrollabile per il proprio lavoro che gli permette di evitare per gran parte dell’anno l’unica cosa che gli va stretta: il deprimente ritorno a casa, della quale non sente mai necessità.
Il suo è un mestiere che, al momento, per contrappasso, è tra i pochi a non risentire il peso della disoccupazione negli Usa: Bingham, infatti, è pagato per togliere il lavoro alle persone; è quello che nessun dipendente vorrebbe mai incontrare.
A turbare la quiete della sua vita fatta di soldi, successo e continui viaggi per il paese (oltre al suo grande obiettivo: arrivare a 10 milioni di miglia) è un’ambiziosa ragazza (Anna Kendrick) che propone al direttore dell’azienda (il fedele Jason Bateman) un nuovo metodo che garantisce l’abbattimento dei costi lavorando in sede e “licenziando” il personale via internet.
La libertà e gli obiettivi messi in discussione, l’incontro con una donna in carriera (Vera Farmiga), con la quale avvia un’esilarante quanto assurdo approccio nel bar di un hotel e il riavvicinamento “forzato” alla famiglia che ormai lo considera quasi un estraneo, lo mettono di fronte alla sua assoluta mancanza di radici e pongono l’attenzione sulla possibilità di cambiare.
Il film mette in luce il grave problema economico-finanziario che affligge da lungo tempo gli Usa e il resto del mondo (Reitman indica come questo sia solo un aspetto del film e che per quel tema bisognerebbe vedere “Capitalism” di Moore), ma soprattutto si concentra sulla precarietà dei rapporti umani, una “esile” critica all’apologia dell’individualismo che, in un mondo in continua comunicazione e in cui la distanza è abbattuta da ogni punto di vista, è ormai paradossalmente una realtà assodata e che, nel particolare, rappresenta una sorta di sconfitta del sogno americano.
Reitman è cresciuto tecnicamente rispetto a Juno, ma la perfezione della sceneggiatura, che non crolla quasi mai, a lungo andare può diventare stucchevole (con persone che perdono il lavoro e sono portate a credere che sia meglio così…e qualcuno ci crede!), anche se non è la solita commedia americana che chiunque si potrebbe aspettare.
Si ride e ci si interroga (per carità, non a livello esistenziale!)
Da sottolineare, ma per pura curiosità, la presenza di comparse licenziate realmente nella vita vera.
Buon film, tanti applausi, ma pur avendo vari consensi, non avrà in concorso vita facile come fu per la novità “Juno”.

Patrizio Caruso

After, Festival Internazione del Cinema di Roma



di Alberto Rodriguez

Trasgredire per una sola notte. Allontanarsi dalle abitudini opprimenti, dallo stress, da vite vuote. Ma tutto ciò solo per ritrovare dei vecchi amici o per un grande desiderio di fuga da sé stessi?
“After” pone questa domanda, senza darne soluzione; non che una soluzione debba esserci per forza: “il film parla di tre personaggi arrivati a un punto morto; un viaggio per tornare a un punto di partenza”, afferma lo stesso regista.
Perché l’ “After” del titolo è un dopo, una decisione sulle sorti della propria vita che non deve essere presa, o forse non vuole esserlo, al termine di una nottata di follie, di sesso, droga e feste. Niente è risolvibile nell’arco di una notte, figuriamoci il proprio futuro.
Il film è un racconto che parte da un momento della serata, torna indietro, si snoda attraverso i tre punti di vista dei protagonisti, Manuel, Julio e Ana, viene sviscerato e riportato alla luce fino all’epilogo finale.
Tre storie, tre individui, tre anime solitarie che cercano di farsi forza calandosi nei meandri più bui della trasgressione; ognuno ha il suo mondo, ognuno i suoi problemi, ognuno è una faccia diversa della solitudine, ma per una sera le loro individualità si uniscono, si mettono a confronto, si scontrano.
Basta, ad esempio, una bottiglia scagliata al muro senza un motivo apparente, oppure l’ossessiva ricerca di piacere onanistico a far (ri)emergere l’intrinseca depressione dei protagonisti, i quali passano da euforia a tristezza, da sorrisi a pianti nevrotici in un turbinio di situazioni che nel film vanno a ripetersi, ogni volta rinnovate da un pezzo del puzzle che ora c’è e che prima mancava.
Con un montaggio intricato ma funzionale, una sceneggiatura che diverte e turba, buone musiche e un cast molto affiatato (attori spesso coinvolti in scene di nudo), è uno dei film migliori di questo festival, il quale, seppure in tono minore rispetto agli altri anni, anche stavolta può vantare qualche “perla”.

Patrizio Caruso