É stato presentato ieri “8” film collettivo prodotto da Lissandra Haulica e Marc Oberon.
Otto sono i registi che hanno partecipato alla realizzazione dell'opera, ognuno presentando un corto metraggio ispirato ad uno degli otto obbiettivi per lo sviluppo segnalati dall'Onu.
Il film si ap
re con una breve introduzione piuttosto suggestiva dal punto di vista visivo, per certi versi simile ad uno spot pubblicitario, funzionale alla presentazione di cosa siano questi otto obbietti di sviluppo per il millennio e quale sia l'intento del film; tra l'altro nella presentazione del film si rende evidente il fatto che non sia stato appoggiato dall'Onu e che il punto di vista dei registi non corrisponda a quello dell'Organizzazione delle Nazioni Unite.
Nel complesso l'operazione, per quanto l'iniziativa possa essere lodevole e nonostante, come è stato più volte sottolineato in conferenza stampa, la convinzione dei registi nel progetto, non sempre centra perfettamente l'obbiettivo.
Tra gli otto cortometraggi presentati, quello più suggestivo e che più coglie nel segno, è l'episodio “The water diary”, diretto da Jane Campion. Il film affronta l'argomento della tutela dell'ambiente, in particolare della siccità; oltre ad una fotografia molto bella, il film risalta per la modalità narrativa, apertamente finzionale, e per una certa ironia di fondo. L'episodio è interessante anche per la capacità della Campion di impiegare i bambini, senza che la storia prenda una piega eccessivamente retorica, come invece accade in altri cortometraggi del progetto.
Deludente l'episodio diretto da Gus Van Sant “Mansion on the hill”, sulla riduzione della mortalità infantile, che appare un rimpasto di vecchio materiale del regista; ugualmente l'episodio diretto da Wim Wenders, per quanto interessante sotto il profilo registico per l'uso del digitale, non è capace di incidere sull'immaginario dello spettatore e non rimane nella mente, che, considerando il tipo di progetto portato avanti dai produttori, dovrebbe essere il principale scopo dei registi. “Person to Person” appare sospeso tra lo stile della serie televisiva americana e una pubblicità progresso di Mtv, che sul momento piace al pubblico, ma non lascia niente di sostanziale.
Discorso totalmente opposto per “SIDA” di Gaspar Noé, un'intervista ad un uomo del Burkina Faso malato di aids: anche se è difficile condividere tutto ciò che viene raccontato dal protagonista, il film si fa apprezzare per la maniera estremamente onesta con cui l'argomento viene affrontato. Particolarmente interessanti il montaggio e l'uso ritmico del suono.
“The story of Panshin Beka”, con tema il miglioramento della salute materna, di Jan Kounen e “Tiya's dream” di Abderrahmane Sissako, sulla riduzione della povertà e la fame nel mondo, hanno in comune l'incapacità di uscire dagli stereotipi, probabilmente soprattutto a causa di una certa retorica presente nelle due storie narrate, nonostante Sissako abbia dichiarato la volontà di presentare una visione dell'Africa diversa.
Lascia piuttosto indifferente il pubblico l'episodio narrato da Mira Nair “How can it be?”, che sarebbe, invece, proprio l'episodio che l'Onu avrebbe richiesto di ritirare, poiché considerato offensivo per la cultura musulmana. Il film è tratto da una storia vera e narra la vicenda di una donna musulmana che divorzia dal proprio marito, con cui a un figlio, per amore di un altro uomo. Forse il film non colpisce molto il nostro immaginario, poiché affronta una questione a cui siamo altamente abituati e che noi consideriamo unicamente una libera scelta, quindi forse occorrerebbe guardare il film con gli occhi di un'altra cultura e cercare di capire cosa significhi il divorzio nella cultura mussulmana e cosa implichi sul piano religioso. Nair rappresenta una società che sta mutando, una società di passaggio, sospesa tra la tradizione e l'emancipazione, una società di che si costruisce con le scelte giornaliere, per quanto esse possano essere difficili.
Infine, per quanto riguarda “The letter”, episodio diretto da Gael Garcia Bernal sull'importanza dell'istruzione, bisogna dargli il merito di aver provato ad affrontare l'argomento in maniera meno convenzionale, ambientando il film in Islanda e parlando del rapporto tra generazioni, tuttavia il film rimane un po' vago. Molto bella la fotografia.
Nel complesso il progetto è interessante per il fatto di rappresentare una molteplicità di idee.
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